Tom Sachs

Il folle culto di Tom Sachs: un’inchiesta racconta ciò che succede nel suo studio di New York

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Che Tom Sachs sia al centro di una bufera mediatica è ormai sicuro: un’inchiesta del giornale statunitense Curbed ha infatti portato alla luce una serie impressionante di abusi che l’artista newyorkese avrebbe commesso nel suo studio, terrorizzando dipendenti e collaboratori e creando un’ambiente di lavoro definito “spaventoso e destabilizzante“. Per capire come si sia arrivati a questo, e quali siano le stranezze che caratterizzano lo studio di Sachs, bisogna tornare indietro di qualche settimana.

A inizio marzo, infatti, il New York Times aveva contribuito a far diventare virale quello che è stato definito il “peggior annuncio di lavoro della storia“: una “coppia affermata nel mondo dell’arte” cercava infatti una persona che sostanzialmente fungesse da servo-on-demand, occupandosi dei bambini, del giardino, dei viaggi, dell’abbigliamento e della comunicazione con tutto il personale, rimanendo a disposizione della coppia anche fuori dall’orario di lavoro e nei weekend. Il tutto per un compenso fra i 65 e i 95 mila dollari: tanti per noi europei, non troppi per una persona di New York, la città più costosa degli States. Una volta diventato virale, l’annuncio è stato rimosso dal web, e per quanto fosse totalmente anonimo, molte personalità del mondo dell’arte hanno visto in quelle folli richieste la “mano” di Tom Sachs e di sua moglie, Sarah Hoover. Fosse stato “solo” per questo, l’artista newyorkese non sarebbe sicuramente stato travolto da chissà che tsunami mediatico: il 13 marzo, però, Curbed ha deciso di pubblicare un articolo destinato a cambiare la percezione pubblica di uno degli artisti più influenti dello sneakergame, autore delle mitiche Mars Yard e delle recenti General Purpose Shoes.

Tom Sachs con la moglie Sarah Hoover (foto di Jared Siskin)

Tom Sachs Promised a Fun Cult. The sculptor likes to call his studio part of his art practice. Working there could often be scary” è il titolo dell’inchiesta lanciata dal giornale americano, che ascoltando i racconti di ex dipendenti, manager e stagisti ha ricostruito un ritratto surreale e a tratti decisamente raccapricciante dell’ambiente che si respira nello studio di Tom Sachs: innanzitutto, le regole che governano questo spazio artistico sono molte, e molto particolari. Tutti gli oggetti devono essere allineati in parallelo o devono formare angoli a 90 gradi; i dipendenti devono camminare lentamente e in silenzio, come se si trovassero in un luogo di culto; la creatività personale deve essere evitata; chiunque lavori per Sachs deve mantenere uno stile di vita sano, andando tre volte a settimana a far ginnastica insieme ai suoi colleghi (il cosiddetto Space Camp); le penne che usa devono essere nuove, ma non nuove nuove (l’inchiostro deve già scorrere); il suo cane deve essere alimentato tre volte al giorno con un alimentazione iperspecifica. Queste regole sono state raccontate in un film, Ten Bullets, voluto dallo stesso Sachs e pubblicato nel 2010: come ha rivelato un ex dipendente, però, le regole narrate nel film sono solamente una piccola parte di quelle realmente vigenti, tanto che ad ogni new entry viene dato un manuale da conoscere a memoria. Manuale in cui, tra le altre cose, si invita ogni dipendente ad imparare a leggere l’umore di Tom, per evitare che questo dia letteralmente di matto. In altre parole, un’ambiente “quasi” da setta.

Intervistato da New Yorker, un portavoce di Sachs ha dichiarato “Si tratta di uno studio rigoroso ed esigente, che promuovere standard alti e un ambiente dinamico per sostenere un output artistico decisamente sostenuto“: alcuni ex assistenti hanno sostanzialmente concordato con questa affermazione, come Owen Zoyt, che ha affermato “È davvero molto bello sentirsi parte di qualcosa e lavorare in un gruppo molto unito, in un ambiente dinamico, per raggiungere degli obiettivi straordinari“. Ciononostante, la maggior parte delle persone sentite da Curbed non solo ha segnalato una lista impressionante di abusi, ma ha pure richiesto di mantenere l’anonimato sia per non infrangere alcun non-disclosure agreement sia per paura di ritorsioni nel mondo dell’arte.

Tom Sachs indossa le GPS (foto di Shaniqwa Jarvis)

Dopotutto, le regole elencate sopra non sono che la punta dell’iceberg di violenze, psicologiche e addirittura fisiche, che Sachs avrebbe perpetrato nei confronti dei propri assistenti: ad esempio, quando qualcuno metteva una lampadina funzionante nel cassetto delle lampadine non funzionanti, l’artista newyorkese lo richiamava con appellativi non proprio gratificanti (“autistico“, “ritardato“, “puttana“). “Sostanzialmente, Sachs era pronto a farti il culo se una lampadina smetteva di funzionare nel cuore della notte e tu non la sostituivi appena entrato nello studio” ha dichiarato un ex assistente di studio a Curbed. Inoltre, quando la pazienza dell’artista si esauriva, c’era pure il rischio che cominciasse a lanciare oggetti addosso ai suoi assistenti. “Ad un certo punto, lanciò una placca d’acciaio che qualcuno aveva lasciato nel posto sbagliato, e questa andò molto vicina a colpire una tanica di gas da saldatura. Quando andai dallo studio manager e dissi che Sachs aveva lanciato un oggetto verso di me, questo rispose che “almeno non lo ha lanciato addosso a te: fino a qualche tempo fa era solito farlo“.” Insomma, non proprio un ambiente di lavoro rigoroso e professionale.

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Un’altra regola al limite della follia prevedeva che su tutti i voli usati da Tom Sachs e sua moglie i sedili fossero completamente reclinabili: in caso contrario, lo studio manager poteva tranquillamente essere licenziato. “Una volta ero in chiamata e stavo organizzando un viaggio per Tom, quando sentì bussare alla porta dell’ufficio e feci entrare una persona senza prima averla identificata: quando salì le scale, Tom saltò fuori improvvisamente e si avvicinò a me. Era a pochi centimetri dal mio viso, potevo sentire il calore emanato dal suo corpo. Ad un certo punto, mi urlò “Perché non hai risposto alla porta? Cosa c’è di sbagliato con te?” ha confessato a Curbed una ex studio manager .

A causa dell’apparente instabilità emotiva di Sachs, molti dipendenti cercavano di entrare nelle sue grazie: ad esempio, cercando per lui delle mele Fuji inclinate, da lui chiamata “italicized apples“. Chi riusciva a farlo, veniva ricompensato con grandi regali: uno dei modi per comprendere le gerarchie all’interno dello studio, infatti, era quello di osservare a chi andavano i regali più importanti, ad esempio delle scarpe di Prada. Se non stavi particolarmente simpatico a Tom, il regalo a cui potevi ambire proveniva dal mucchio di regali scartati dagli altri. Dopotutto, sembra che Tom sia estremamente chiaro con i suoi dipendenti: tutti sono sostituibili, nessuno escluso. “Questo è un culto. Se vuoi andartene, non ti vogliamo. Un milione di persone vorrebbero il tuo posto” sono le parole che Sachs avrebbe pronunciato nei confronti di una sua assistente, a cui avrebbe anche detto, in una chiamata su Zoom, “Non mi importa se muori. Ci sono un milione di persona come te e solamente un Tom Sachs“.

Tom Sachs, a destra, con Nick Doyle (foto di Guillaume Ziccarelli)

Nei contesti più formali, tutto questo non veniva fuori: Tom cercava di comportarsi in modo quanto più possibile controllato. Durante l’allestimento di particolari mostre, però, spesso capitava che urlasse addosso ai suoi dipendenti, sorprendendo gli stessi gestori delle gallerie d’arte, nei cui occhi, ha dichiarato un manager, si leggeva lo sconcerto di chi si chiedeva “Tutto questo per l’arte?. Ed è proprio questo il problema di Sachs, secondo l’artista Stuart Semple: il suo studio è trattato come un’opera d’arte (“la più grande“, come Sachs ama spesso ripetere), e tutto quello che accade al suo interno è sul labile confine fra il maltrattamento e la provocazione artistica. Non a caso, l’artista newyorkese è sempre stato un grande provocatore, come dimostrano opere come la Barbie Slave Ship, la svastica sul medikit dello studio, il nome dato al suo ufficio (Nido dell’Aquila): tutto questo, secondo il portavoce dello studio, per “sovvertire e richiamare la parte più dolorosa della storia ebraica, essendo Sachs fieramente ebreo“.

A destabilizzare ulteriormente un luogo di lavoro non proprio idilliaco è stata poi la forte tendenza sessuale di Tom: stando a quanto riportato da buona parte degli ex dipendenti intervistati da Curbed, l’artista classe 1966 era solito girare per lo studio in biancheria intima, dispensando “complimenti” alle sue collaboratrici e parlando costantemente dei porno che aveva visto con il VR. Tutto questo per un progetto che, a quanto pare, nessuno ha mai visto concretizzarsi. L’ex studio manager, poi, ha dichiarato che Sachs continuava a parlare di donne e che una volta si mostrò in mutande in una videochiamata con una dipendente di Nike. In un’occasione, parlando della situazione abitativa di una dipendente amministrativa, disse che lei “si fotteva tutti i suoi compagni d’appartamento“, aggiungendo in un’altra occasione che questa donna doveva ritenersi “fortunata a vivere in un’epoca in cui le curve e i culi sono apprezzati“. In cantina, poi, si trovava un deposito di materiale chiamato “stanza dello stupro”, che nel 2016 venne rinominata “stanza del consenso”: non a caso, una dipendente ha dichiarato di aver paura di trovarsi da sola con Sachs. Nel 2020, infine, una significativa parte dei membri dello studio si lamentò della mancanza di limiti di Sachs: questo, infatti, aveva assunto il life coach Shalom Melchizedek per offrire un servizio di counselling lavorativo. Peccato che Melchizedek sia uno dei pionieri della sessualità cosmica e dell’esplorazione dell’orgasmo.

A tutte queste accuse ha risposto il già nominato portavoce di Sachs, che ha declinato praticamente ogni illazione nei confronti dello studio, dichiarando che buona parte delle regole fossero scherzose e sottolineando come la sicurezza e la salute degli assistenti siano al primo posto per l’artista newyorkese. Ciononostante, non sono arrivate dichiarazioni direttamente da Tom e le gran mole di informazioni riportate da ex assistenti, studio manager e stagisti non può che far pensare all’ennesima storia di abusi nel piccolo e selettivo mondo dell’arte, dimostrando come la genialità di un artista sembri non poter fare a meno di una follia deleteria per chiunque gli stia accanto.

Il folle culto di Tom Sachs – aggiornamento del 16.03.2023

Durante la notte del 16 marzo, la pagina Instagram @complexsneakers ha avuto la fortuna di parlare con un portavoce di Nike, che ha dichiarato:

“Siamo veramente preoccupati per queste pesantissime accuse. Siamo in contatto con Tom e il suo studio per capire meglio la situazione e sapere come vengono affrontati questi problemi”

Dopo l’iniziale silenzio, quindi, anche Nike è stata coinvolta dallo scandalo mediatico suscitato dall’inchiesta di Curbed. Seguiranno aggiornamento, ma intanto vi chiediamo: come andrà a finire questa storia secondo voi?

Il folle culto di Tom Sachs – aggiornamento del 22.03.2023

La questione Tom Sachs non accenna a fermarsi: al contrario, il lavoro di Curbed è stato portato avanti dal portale statunitense artnet.com, che ha avuto l’opportunità di ascoltare le testimonianze di altri ex dipendenti dell’artista newyorkese. Il quadro che ne emerge condanna ancora una volta Tom Sachs, confermando le accuse rivoltegli e arricchendo la vicenda di ulteriori dettagli.

New York dopo il caso Tom Sachs (foto di news.artnet.com)

Molti dipendenti, ad esempio, si sarebbero ritrovati a ricevere paghe misere, spesso ben al di sotto rispetto alla media del settore. A colpire è la confessione di Stacey, pseudonimo dato da Artnet ad una delle dipendenti, che ha dichiarato di aver ricevuto meno di 26 mila dollari nel suo primo anno di lavoro: pochissimi, considerando non solo l’elevatissimo costo della vita a New York, ma anche i ricavi milionari dello studio di Tom Sachs (il dato è stato confermato da Artnet dopo aver consultato le buste paga della dipendente, ndr). Inoltre, lo studio è stato anche accusato di non aver offerto alcuna assicurazione sanitaria fino allo scoppio della pandemia da COVID-19, quando alcuni dipendenti si sono ritrovati a dover pagare anche 400 dollari al mese per aver accesso alle cure mediche.

Alle questioni prettamente economiche, molte delle persone sentite dal sito statunitense hanno anche dichiarato di aver dovuto lavorare in condizioni precarie, senza alcun tipo di protezione dagli agenti chimici a cui erano esposte. Altre, inoltre, hanno dichiarato di aver dovuto svolgere mansioni non inerenti al loro contratto di lavoro, come trasportare le migliaia di euro di capi di abbigliamento che Sarah Hoover acquistava e portava nello studio. Tutto questo, senza poter dire nulla, essendo lei la moglie del “capo supremo” Tom Sachs.

Sempre a New York (foto di wetlegz)

Come accaduto nei confronti delle prime illazioni, un portavoce dello studio ha negato tutto, definendo ancora una volta l’operato di Sachs come “scherzoso ma sempre attento alle necessità e alla salute dei suoi dipendenti”. Ormai, però, il caso Tom Sachs è definitivamente esploso e potrebbe portare alla fine della sua collaborazione con Nike.

Il folle culto di Tom Sachs – aggiornamento del 24.03.2023

Anche il New York Times ha affrontato la spinosa questione Tom Sachs: nello specifico, a trattare l’argomento è un meraviglioso articolo di Ginia Bellafante, dal titolo “Is Tom Sachs the Bad Art Boss?“. In pochissime righe (almeno per i nostri standard), la giornalista americana è riuscita a condensare l’intera carriera di Sachs, citando, tra le altre cose, una lettera inviata dallo stesso artista al suo staff.

Nella lettera, inviata martedì (non ci è dato sapere se prima o dopo l’articolo pubblicato da Artnet), Tom Sachs si è scusato con i suoi dipendenti per essere un “boss aggressivo, molto esigente, […] che si aspetta sempre il massimo“. Chiaramente, però, ha negato quasi tutte le accuse mossegli dai suoi ex assistenti (esclusa la questione della rape room, riguardo a cui ha detto di “voler migliorare se stesso”), affermando che l’inchiesta di Curbed non è rappresentativa della sua intera carriera artistica.

A concludere la lettera, poi, è stata quest’affermazione:

Sono rimasto fedele all’innovazione e alla idee radicali

Una frase che Ginia Bellafante ha meravigliosamente demolito con un semplice “Lo sei mai stato?“.

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